









Viaggio di volontariato in Palestina- Ottobre 2011
Le foto mostrano quanto è profonda e radicata l’occupazione di Israele all’interno della Cisgiordania.
In ordine: un cancello di protezione della linea ferroviaria, il mercato di Hebron nella Città Vecchia. Le attività commerciali palestinesi sono sovrastate da quelle dei coloni, ad un certo punto essi dall’alto hanno iniziato a buttare sassi, immondizia e qualsiasi genere di cose. Così i mercanti e i negozianti palestinesi sono riusciti ad ottenere una rete di protezione. Allora gli israeliani sono passati ai liquidi, ma secondo le autorità comunque questa rete a maglie larghe è sufficiente per la loro protezione. Questi atti intimidatori mirano a persuadere i palestinesi a lasciare le loro case e le loro botteghe.
Nelle ultime foto invece si possono osservare scorci del “Muro della Vergogna” che attraversa il territorio per quasi 600 Km, progettato nel 2000 e non ancora ultimato. Secondo il Dipartimento Palestinese per gli Affari Negoziali e altre fonti, il 45% delle terre coltivate e un terzo dei pozzi d’acqua disponibili per i palestinesi si trovano all’esterno della barriera.
Paesi già colpiti da altre catastrofi, nell’epoca storica del coronavirus si rivelano soggetti a subire un indebolimento ulteriore.
Un esempio è il caso della Cisgiordania, che vive in un perenne stato di occupazione. A prendere possesso del territorio sono gli israeliani, il popolo che ha incassato nell’ultimo anno l’approvazione americana all’annessione dei territori occupati illegalmente.
Nel giugno 2019 è stato siglato tra Usa e Israele un accordo di pace che in sostanza “compra” con denaro, da una parte il perdono dei palestinesi dopo decenni di violazioni dei diritti umani e, dall’altra, la legittimazione del superamento attuato dagli israeliani nei territori oltre la Linea Verde (confine che si riferisce agli accordi di Oslo del 1995). Questo piano statunitense, risultato di una profonda amicizia personale e politica tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu, è stato completamente rigettato da tutti i leader palestinesi.
In questa complicata cornice arriva il Covid-19 che dà il colpo di grazia.
Da quando sono iniziate a registrarsi le prime vittime palestinesi causate dalla malattia, il governo palestinese e quello israeliano hanno creato un coordinamento comune e imposto il lockdown in tutti i territori.
A preoccupare è soprattutto la Striscia di Gaza, considerata l’estrema fragilità del suo sistema sanitario, assolutamente impreparato a fronteggiare un’emergenza di larga scala e il vulnerabile stato di salute generale di una popolazione che da 13 anni vive segregata e con limitato accesso ad acqua potabile, elettricità e beni di prima necessità.
Hamas ha limitato gli assembramenti con regole molto rigide, ma la situazione resta preoccupante specialmente per una zona che dipende quasi interamente da aiuti umanitari.
Quindi se con una mano Israele lavora per fermare l’epidemia (anche per un suo interesse visto che migliaia di palestinesi lavorano nelle aziende Israeliane), dall’altra continua ad attuare la sua “agenda politica” di espropriazione di terre.
Da quando è in vigore il lockdown sono stati registrati (marzo-aprile 2020) numerosi episodi di violenza da parte dei coloni a scapito di famiglie di palestinesi, in molti casi con il tacito consenso delle autorità militari israeliane. Nel contesto di questi attacchi, i coloni hanno colpito i palestinesi con mazze, asce, sassi, elettroshock, cani d’assalto, causando diverse lesioni.
A questo si aggiungono operazioni mirate contro case, auto date alle fiamme, sradicamento di ulivi, colture distrutte e capi di bestiame depredati.
Oltre a questi atti compiuti da cittadini israeliani “solitari”, si verifica anche una violenza più sottile e istituzionale. Secondo quanto riportano i giornali locali, le autorità israeliane hanno imposto la chiusura di una clinica di fortuna nel quartiere di Silwan, nell’area palestinese di Gerusalemme, messa in piedi in una moschea dagli attivisti, per somministrare test e cure contro il coronavirus. Secondo l’Israel-Palestine mission network della Chiesa presbiteriana statunitense, le autorità israeliane, in questi giorni di emergenza sanitaria, non solo si rifiutano di sottoporre i test ai cittadini palestinesi, ma contrastano anche le iniziative autonome della Palestinian authority, a cui è impedito di lavorare nella città di Gerusalemme.
Secondo molti osservatori, le discriminazioni messe in atto in questo periodo di pandemia e gli attacchi, intimidazioni, violenze dei coloni confermano il progetto futuro di annessione dei settlements israeliani annunciato dal neo-governo di accordo nazionale.
Di Anteo Ciavatti
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